Più precisamente, è la narrazione di una specifica fase dell’esistenza dei suddetti che ne ha indirizzato in maniera determinante l’avvenire, un frammento di vita che, con la complicità di una concatenazione di eventi più o meno fortuiti, li ha condotti dove si trovano adesso, ovvero sul letto della camera degli ospiti, uno di fianco all’altra.
Iddio solo sa dove sarebbero ora se anche un singolo ingranaggio dell’intero meccanismo, che i romantici chiamano Fato e a cui i cinici affibiano il più prosaico nome di Caso, non avesse girato nel verso giusto.
Il problema è che non è facile individuare il momento esatto in cui le rotelle hanno preso a muoversi, dapprima lentamente, poi con intensità crescente, innescando altre rotelle che a loro volta ne hanno avviate altre.
Si potrebbe dire che tutto è iniziato il giorno in cui le autorità locali hanno invitato un addetto del Consolato italiano a fare da giurato nella scelta del “miglior souvenir di Chongqing per gli stranieri”. Però mi piace pensare che sia cominciato tutto prima, ad esempio quando ho deciso di trasferirmi in questa megalopoli, o ancora prima, quando ho intrapreso lo studio del cinese.
A pensarci bene, ogni singolo istante vissuto precedentemente, anche quello apparentemente più insulso, mi aveva portato su quella macchina, che scivolava dolcemente su un’ampia colata di cemento verso una località periferica che non avevo mai sentito nominare.
Dentro, seduta di fianco a me, c’era una rappresentante del consolato giapponese. Pare che da queste parti siano convinti, a ragione se mi perdonate la presunzione, che in quanto a gusto estetico non ce n’è per nessun altro, quindi quel delicato compito poteva essere affidato solo a italiani e giapponesi.
Fece molto presto, tuttavia, il mio orgoglio a dileguarsi, portandosi dietro anche il predetto senso estetico e abbondanti razioni di dignità: gli bastò trovarsi faccia a faccia con la massa di oggetti che ci avevano chiamati giudicare.
Tra prendipolvere raccapriccianti, indumenti tradizionali osceni, ciarpame di ogni genere e foggia e persino cibo in scatola, mi chiedevo se non fosse tutto uno scherzo, di cattivissimo gusto peraltro. Ma gli orientali su cose come queste sono terribilmente seri. E difatti la collega nipponica esaminava con scrupolosa e irritante attenzione ogni singolo souvenir, annotando tutto a margine della lista finale di cento (cento!) itemche avevamo ordine di stilare.
Dopo un attimo di stordimento, decisi che l’agonia non sarebbe durata più del necessario e compilai la lista con numeri a caso, oppure scegliendo di proposito gli oggetti più agghiaccianti. Ricordo una cosa a forma di grosso pesce dai colori sgargianti il cui utilizzo mi sarà per sempre oscuro.
Per la cronaca, non ho mai più saputo quale di quegli splendidi doni si sia aggiudicato l’ambito titolo di “miglior souvenir di Chongqing per gli stranieri”.
Non è importante ai fini di questa storia, quel che conta è che tornai a casa con un sacchetto di regalini. E fu lì che vedemmo per la prima volta la coppia di porcellini.
La famiglia Laganà, o per meglio dire il 50% di essa, non è però molto incline a conservare ed esporre questo genere di prodotti nella propria dimora. Il compromesso che dovetti accettare per non rischiare di perdere tutto era quello di dividere la coppia. Lo so, lo so, siamo dei mostri. Il piano era semplice ma efficace: avremmo furtivamente lasciato la Signora Porcellina su un divano della lobby.
Sarebbe probabilmente finita tra le mani appiccicaticce di qualche marmocchio, che le avrebbe comunque dedicato più affetto di quanto non avessimo mai potuto fare noi.
Così facemmo, andando subito dopo a cena per lavarci la coscienza con generose dosi di alcol. Tornati in camera la triste vicenda della porcellina era già stata bellamente archiviata in qualche recesso della nostra mente, come si fa con i traumi infantili.
Ma il destino aveva altri piani per noi e per i porcellini. Qualcuno aveva casualmente assistito alla scena dell’abbandono e ne informò la reception, che con giubilo ci annunciò di aver rinvenuto il nostro adorato pupazzetto smarrito.
Ce la riportò, con un ghigno vagamente beffardo, uno di quei robottini per il servizio in camera che si vedono sempre più spesso negli hotel cinesi.
E questa è la storia di come due porcellini, nati per stare insieme, siano effettivamente riusciti a trovarsi uno accanto all’altra, il che è già niente affatto scontato, e, dopo essersi persi per un istante che è sembrato un’eternità, insperatamente si sono riuniti su un letto e ogni giorno, fianco a fianco, guardano verso la stessa direzione.
Iddio solo sa dove sarebbero ora se anche un singolo ingranaggio dell’intero meccanismo, che i romantici chiamano Fato e a cui i cinici affibiano il più prosaico nome di Caso, non avesse girato nel verso giusto.
Everybody needs a bosom for a pillow
Cornershop