Come eravamo

Ma voi ve lo ricordate com’era stare in Cina da studenti? Sì, proprio voi che ora lanciate occhiate di disprezzo alle entrate delle discoteche cinesi dove avete trascorso dei venerdì sera di pura follia mentre tagliate dritto verso un ristorantino, diciamo, italiano per un pasto insensatamente costoso e quattro chiacchiere su come si vestono male le ragazze da queste parti.

O che, peggio ancora, siete già al livello successivo, alle cene a casa, magari con film e, se va bene, con cicchetto di amaro imbucato in valigia e custodito come una reliquia.

Va bene, va bene: non poteva durare per sempre, come il nostro martoriato fegato soleva puntualmente farci presente ogni sabato mattina tra violenti spasmi e capogiri effetto mare mosso. Non lo ringrazieremo mai abbastanza per l’impegno profuso, per le ore di straordinari non retribuiti.

Se esistesse un Sindacato del Fegato, ci avrebbe già denunciato per sfruttamento e condizioni di lavoro inique, privandoci del nostro prezioso organo prima che fosse troppo tardi. Perché avere a che fare con l’alcol di certi localacci non è proprio una passeggiata, assomiglia più ad una corsa a piedi nudi su pietre appuntite e ardenti.

Ma guai a lasciare che i nostri fegati tornino ad abituarsi a drink sofisticati e leggeri, così come sarebbe un errore madornale permettere ai nostri condotti uditivi di ricominciare a recepire solo melodie piacevoli a decibel di poco al di sotto della soglia di sopportazione.

Molti di voi l’hanno già fatto, e ora devono inventarsele tutte per superare un weekend senza che istinti suicidi prendano il sopravvento per la noia. Che ne so, imparano a giocare a scacchi, organizzano letture collettive di manuali di ornitologia, riempiono la casa di origami. I più estrosi si fanno i tarocchi a vicenda.

E poi ci siamo noi, che non vogliamo saperne di accantonare definitivamente quella fase della nostra vita. Per nostalgia, direbbe qualcuno che si diverte a fare psicologia da quattro soldi. Per mancanza di alternative valide, direbbe qualcun altro che in Cina ha i giorni contati.

Il motivo sfugge anche a noi, ma è probabile che abbia a che fare con le alte dosi di irragionevolezza e assurdità che si sprigionano solo in particolari momenti e solo in certi postriboli.

Tipo quando, senza sapere bene come, ti trovi a cantare Alejandro di Lady Gaga davanti ad un gruppo di cinesi in estasi. O quando, all’approssimarsi del mattino, mentre ingurgiti senza posa schifezze in luoghi che ricordano le più becere sagre di paese, assisti allo spietato corteggiamento di un pachistano con passaporto americano ai danni di una vajassa cinese dalla fattezze tozze e gli abiti di un verde shocking che le avrebbero permesso di mimetizzarsi in un campo di calcio.

È andata che il pachistano, in evidente sovrappeso nonostante la mise nera e dalla velocità di reazione pressoché azzerata dai fumi dell’alcol, ha approcciato la vajassa infilando una serie di imbarazzanti volgarità in dialetto di Chongqing. Quest’ultima ha inizialmente controbattuto con gestacci e qualche sonoro rutto, salvo poi prodursi in un’offensiva che considero fino ad oggi tra le più geniali mai messe in atto da un essere umano di sesso femminile.

Prima ha costretto il povero disgraziato a spendere diverse centinaia di yuan nell’acquisto di oscene rose di plastica, poi ha ordinato un piatto di soli peperoncini e ha cominciato a nutrire il malcapitato, che ad ogni boccone scoppiava in un incontenibile accesso di tosse.

Ma non faceva niente per sottrarsi alla punizione, anche perché la vajassa dopo un po’ ha cominciato a passargli i peperoncini direttamente dalla sua bocca, tenendo fermo il suo faccione con entrambe le mani, una sulla nuca e l’altra sotto il mento.

Ah, per la cronaca, alla fine la vajassa non gliel’ha data.

Fecero tutto quello che si può fare per farsi rapinare in un locale notturno: due cartoni di Dom Perignon fatto col bicarbonato, cenetta di mezzanotte alla fiamma, tragiche foto ricordo della serata, più tre mostruosi animaloni di peluche regalati alle signore.

(dal film “Il secondo tragico Fantozzi”)

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