Non so bene come ci abbia trovati, sta di fatto che da quella sera di qualche mese fa, quando Monique ha chiesto di incontrare me e il Tarantino, sono successe parecchie cose.
Prima di allora non mi ero mai interessato di matrimoni cinesi. Qualcuno che ci era stato me ne aveva parlato come di noiosissime pantomime in cui un presentatore in papillon arringava gli invitati con smielati discorsi sull’amore enterno mentre introduceva a tutti una coppia vestita in modo quanto meno pacchiano.
Ciò che mi aveva lasciato particolarmente interdetto di questi resoconti era la constatazione che il banchetto durava al massimo un’oretta: giusto il tempo di ingozzarsi e lasciare la hongbao, ovvero la busta rossa con i soldi (in Cina il concetto di “lista nozze” non potrebbe prendere piede se non in seguito ad una improbabile rivoluzione dei costumi). In quel momento pensavo alle interminabili abbuffate di casa nostra, alla musica, al Prosecco, agli ospiti che ballano e chiacchierano tra di loro.
Monique, dunque. Penso di non averla mai chiamata così, ma trovavo buffo il modo in cui lei stessa pronunciava il suo nome straniero, da cinese che di inglese non conosce più di un paio di parole.
Di studiarlo, l’inglese, non ne aveva mai avuto il tempo perchè, bontà sua, aveva sempre dovuto farsi un fondoschiena così. A 23 anni aveva già accumulato una discreta esperienza nel campo dell’organizzazione di matrimoni, tanto da ritenere che fosse giunto il momento di mettersi in proprio e fare ciò che in assoluto le riusciva meglio: comandare.
Ma quella sera non voleva ancora parlarci di questo. Immagino volesse solo testare la nostra prontezza di riflessi, constatare quanto fossero meritate le foci che circolavano sul nostro conto. Le serviva una band straniera per un Monkey Show giù nel Banna e noi gliene proponemmo tre in meno di un’ora.
Eravamo in un ristorante tailandese e lì, davanti ad un piatto di buon pesce, il Tarantino si esibì in uno dei suoi inimitabili monologhi nel suo personalissimo cinese.
Io mi limitavo ad intervenire di tanto in tanto, chiedendomi come al solito come facessero i cinesi a seguire i suoi giri di parole, dal momento che spesso mi ci perdevo anch’io.
Alla fine della serata, accompagnandoci al taxi, Monique aveva detto: “Dovreste imparare meglio il cinese, però mi state molto simpatici.”
Ad oggi non ricordo una definizione di noi due più concisa e calzante.
Una settimana dopo il Tarantino la seguì per il Monkey Show insieme alla band straniera. Mi chiamò al telefono che era ancora lì, un po’ brillo a giudicare dalla voce. “Quando torno dobbiamo parlare, ci sono novità interessanti…”
I used to think a wedding was a simple affair. Boy and girl meet, they fall in love, he buys a ring, she buys a dress, they say I do. I was wrong. That’s getting married. A wedding is an entirely different proposition.
(dal film “Father of the Bride”)