Quando tornò, il Tarantino mi disse che Monique si era messa in testa di fondare la prima Wedding Company di Kunming con staff misto cinese e straniero. Possibile che non ci avesse mai pensato nessuno?
“Certo” aveva risposto il Tarantino sfoderando uno dei suoi sorrisi da rappresentante di enciclopedie, “ma rispetto agli altri noi abbiamo un vantaggio: siamo del mestiere.” O meglio, lo saremmo stati una volta che Monique ci avesse istruiti adeguatamente. Cominciò tutto così.
Personalmente, mi sembrava un’altra delle cose divertenti ed insolite che avrei potuto raccontare in Italia e non ci pensai due volte. Inoltre avevamo finalmente la preziosa possibilità di passare molto tempo con i cinesi, di lavorare con e per loro, e questo ci avrebbe fruttato un bel po’ di esperienza.
Volevamo soltanto evitare di fare la parte delle belle statuine, rischio sempre molto grande in questi casi. Fortunatamente per noi, era quello che voleva anche Monique. La ragazzina aveva deciso di puntare su di noi e in poco tempo ci insegnò tutto quello che c’era da sapere sui matrimoni cinesi.
Entrammo in un mondo fatato fatto di fiocchettini dorati, torte a dieci piani con ascensore, musiche struggenti, trasparenti calici di plastica colmi di imbevibile champagne e sistemati a piramide, bouquet dai colori sgargianti, macchine tappezzate di rose rosse.
Fin dall’inizio capimmo che niente sarebbe stato più uguale per noi, ma tutto sommato non eravamo affatto pentiti.
Un giorno Monique ci portò ad un ricevimento nuziale in grande stile organizzato in un resort di lusso. Una passerella rialzata tagliava in due l’immensa sala piena di tavoli, fino ad un grande palco sul quale erano stati sistemati due maxi-schermi.
Quando gli ospiti furono ai loro posti, le luci si spensero e dal palco un presentatore diede il benvenuto a tutti. Qualche secondo dopo, dall’estremità opposta della passerella la sposa comparve con il suo vestito luccicante e cominciò a procedere verso il palco, accompagnata dalla musica e da un faro che seguiva i suoi movimenti.
Lo sposo le si fece incontro e si trovarono faccia a faccia esattamente a metà passerella. Qui lui fece un inchino, passò al suo fianco e si avviarono entrambi verso il palco. Ogni singolo movimento dei due era scandito dalle parole del presentatore ed osannato da scroscianti applausi.
La cerimonia, che in realtà era più una rappresentazione orchestrata a tavolino, durò in tutto una quarantina di minuti, durante i quali i novelli sposi nell’ordine: si scambiarono gli anelli, guardarono un video fatto prima del matrimonio, tagliarono la torta, brindarono insieme a i rispettivi genitori.
Mentre tutto ciò aveva luogo sul palco, nella sala semi buia si gozzovigliava senza troppi complimenti, tanto che, non appena gli sposi vennero congedati con un ultimo grande applauso, gli ospiti cominciarono a lasciare il resort. Un’oretta dopo la sala era quasi vuota.
Monique mi aveva detto di tenere particolarmente d’occhio un personaggio vestito di tutto punto con guanti bianchi alle mani che durante tutta la cerimonia era stato accanto agli sposi, li aveva seguiti fino al palco incitando gli ospiti ad applaudire, aveva porto loro il microfono quando c’era da parlare, si era occupato di far arrivare la torta sul palco con annesso coltello e di tanto in tanto lanciava specie di coriandoli argentati per sottolineare un momento importante. Il tutto con movenze lente e plateali, quasi teatrali.
“Quello si chiama Dudao Laoshi, pensi di poterlo fare?” mi chiese Monique di punto in bianco una volta fuori. Io? E che ci vuole… da piccolo ho preso parte alla recita scolastica nei panni di un giovanissimo Gesù. E ricordo di non essermela cavata affatto male.
Al Tarantino era andata meglio, o peggio a seconda dei punti di vista: il suo compito sarebbe stato quello di assistere Monique nella pianificazione di tutto il matrimonio, dall’allestimento alla performance.
Prima di lasciarci, la ragazzina ci confidò che il matrimonio a cui avevamo appena assistito era stato organizzato dalla società per cui lavorava prima di licenziarsi e mettersi in proprio. Ci disse anche avremmo incontrato i nostri primi clienti la settimana prossima.
Se pure avessimo voluto tirarci indietro, era già troppo tardi.
Hold the line, love is always on time
(Toto)