Il posto si trova di fianco ad un ristorante dall’aria pomposa. Si entra in un vicoletto e, dopo due rampe di scale, ci si ritrova in un corridoio dalle luci soffuse, con i pavimenti rivestiti da una soffice moquette e le pareti tappezzate di rosso.
Ognuna delle porte a destra e sinistra è marcata con il nome di un pianeta. È più o meno come ci si aspetta che sia un vecchio bordello, e difatti è quello che è. Quando arrivo, i ragazzi sono già pronti per registrare. Il Maestro Papozzi, concentratissimo, imbraccia la sua chitarra con la solita autorevolezza. Eddy sorseggia nervosamente miele diluito con acqua e vari sciroppi per la tosse.
Ci sono anche altri due membri del gruppo: Agamennone, il bassista di Manfredonia che si è aggregato subito dopo il leggendario tour del 2007, e Carletto, giunto direttamente da Canton per scrivere questa nuova esaltante pagina nella storia degli Smegma Riot.
E naturalmente ci siamo anche noi, i fan sfegatati. Gli irriducibili Ciccio Fiabeschi e Big Antonio li avevo già incontrati tra le pagine del libro di Lucio, e devo dire che non sono cambiati per niente. Uno è una specie di hippie che non sfiorerebbe un animale nemmeno con lo sguardo, l’altro è un omone siciliano dal cuore grande.
A Piero e Giorgio, filmmakers tutt’altro che improvvisati, l’onere di imprimere su pellicola (digitale) i momenti che precedono la nascita di questa nuova creatura.
Se sarà o meno un buon prodotto, molto dipenderà da ciò che succederà oggi in questa cameretta. Sulle pareti, tra foto di splendide fanciulle in abiti succinti, si alternano poster con nomi più o meno conosciuti della scena musicale di Kunming. John Nevada, i Cagnacci e ovviamente gli Smegma Riot.
È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che si sono riuniti qui dentro. Di quei giorni restano alcune foto che ritraggono dei ragazzi con qualche capello in più sulla testa e qualche chilo in meno nel bassoventre, oltre ad un album, Evolve or Die, che noi fan sfegatati abbiamo imparato a cantare a squarciagola, pezzo per pezzo.
Che è successo a quei ragazzi? Qualcuno direbbe che sono cresciuti, che hanno chiuso con quelle canzoncine volgari e urlate, addirittura che non sono più punk. Se poi questo qualcuno volesse essere particolarmente maligno, direbbe che hanno osato troppo, che il nuovo album è quantomeno pretenzioso, con tutti questi testi di ispirazione vagamente sociale e gli arrangiamenti elaborati.
Che dovrebbero tornare a fare quello che riesce loro meglio: scatenarsi sul palco, usare l’autoironia come arma per demolire stereotipi di ogni genere, sbandierare con orgoglio la carenza di tecnica.
E non avrebbe tutti i torti, se non quello, per nulla irrilevante, di sottovalutare l’importanza di rimettersi in discussione di tanto in tanto, di porsi nuove sfide e cercare di andare al di là dei proprio limiti. Ed è proprio quello che i quattro stalloni italiani hanno intenzione di fare oggi.
Quando Eddy si avvicina al microfono, un silenzio carico di tensione cala improvvisamente nella saletta. Dopo aver registrato le basi, ora è tutto nelle mani del ragazzo di Ragusa. Lo sa bene il Maestro Papozzi, che avrà l’arduo compito di dettare i tempi all’amico, allo stesso modo in cui si cerca di guidare un cieco in un labirinto.
La performance di Eddy sembra eccellente, molto più di quanto ci aspettassimo. Persino il Maestro sembra convinto, o perlomeno non sfodera una delle sue solite smorfie di disgusto. Il front-man chiude l’ultimo ritornello con uno dei suoi classici urli bestiali, dopodichè, trattenendo il respiro, ci voltiamo tutti verso il fonico.
“E’ fuori tempo, ma la posso aggiustare.”
Esplodiamo in un boato di liberazione e gioia, ci abbracciamo e battiamo le mani. Agamennone cerca di riportare la calma, ricordandoci che ci sono altre 6 tracce da registrare e che la chirurgia musicale potrebbe non bastare.
La strada verso il successo è più che mai irta di ostacoli.
Lock’n Loll.
Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport (CCCP)