A casa di Nancy

“Sei sicuro di non essere arabo?” Nancy mi conosce solo da dieci minuti ma è già la terza volta che mi fa una domanda del genere. “Se vuoi ti mostro il passaporto” rispondo sorridendo. Vuoi vedere che non mi ricordo più da quale posto del mondo provengo… “Ma quindi non sai parlare arabo?” A stento conosco l’italiano, mi verrebbe da rispondere, ma taccio dignitosamente. Poi si passa alle questioni filosofico – esistenzialiste: “Che fai nella vita?”, “Perché sei qui?”, “Dove sei diretto?”, “Qual è esattamente il tuo scopo?” Riesco a schivare tutte le pallottole con agilità e prontezza di riflessi. Le parlo della mia tesi di laurea in storia imperiale, cercando di dare alla mia ricerca un ché di scientifico. Lei mi ascolta annuendo distrattamente, probabilmente non capisce un granché di quello che sto dicendo, e se ci capisce qualcosa probabilmente non gliene importa più di tanto. Sembra molto più interessata a capire se rischia o meno di mettersi in casa un occidentale buonoanulla/godereccio/ubriacone/squattrinato/insolvente/sciarmato. Già il fatto che sia un ragazzo non depone a mio favore, non in un appartamento come questo dove ogni cosa è al suo posto e si cammina in punta di piedi togliendosi le scarpe all’ingresso. Sfodero una dose eccezionale di simpatia e senso di responsabilità, perché in tre giorni questa è la cosa più vicina ad una casa che abbia visto e non ho intenzione di lasciarmela sfuggire. No, non tornerò a vagare per le strade di Kunming a caccia di camere in affitto per poi ritrovarmi a vedere appartamenti che sono solo soffitti, muri e pavimenti, che si trovano all’interno di fatiscenti palazzi di squallidi quartieri. Per questo tengo duro e mi mostro disponibile a soddisfare qualsivoglia curiosità di Nancy sul mio conto. Ma quando, piuttosto inaspettatamente, lei tocca il tema religione, sono già esausto e non ho la forza di mentire per fare bella figura, così rispondo laconicamente: “Sono cattolico ma non vado spesso in chiesa”. Lei sbarra gli occhi, come se avessi detto un’assurdità. Provo a spiegarle che si tratta di una pratica alquanto comune dalle mie parti. Lei fa finta di non sentire e rincara: “Da queste parti c’è una chiesa cattolica frequentata da stranieri, penso che potresti incontrare gente simpatica se ci vai ogni tanto”. Mi arrendo: “Sì, magari ogni tanto ci passerò”. La conversazione potrebbe concludersi qui, se non fosse che senza nemmeno rendermene conto mi trovo a chiederle di che religione sia lei. “I believe in Jesus” è la sua lapidaria risposta. Mah…
Comunque credo di aver superato il test. Quantomeno l’ho fatta ridere un paio di volte e sorridere altrettante, non che questo sia sempre un buon segno. Inoltre per la prima volta da quando sono qui sento qualcuno parlare una lingua che somiglia vagamente a quella che ho studiato in Italia. “Il tuo putonghua è perfetto, riesco quasi a capire quello che dici. Sei proprio di Kunming?” Lei scrolla le spalle. “Sono qui da dieci anni, quindi ormai sono di Kunming”. Non sembra voler aggiungere altro in proposito, così lascio cadere il discorso nel vuoto. Esco dall’appartamento di Nancy con le mie scarpe di nuovo ai piedi e con qualche domanda che mi frulla in testa, ad esempio quale sia il vero nome di Nancy e perché si faccia chiamare così, provando ad immaginare come potrebbe essere trascorrere sei mesi nella piccola ma ordinata cameretta di questo semplice ma accogliente appartamento insieme a Nancy, sua madre ed una ragazza neozelandese. Lungo il cortile che per il momento mi conduce fuori da questo moderno palazzo per famiglie, incontro lo sguardo incredulo di due bambini. Uno di loro punta il dito verso di me e urla: “Waiguoren, waiguoren!”. Straniero.

“Vogliamo entrare nella casa, ma stiamo fuori dalla chiesa”
(I Laganà – Gruppo ridicolo-demenziale calabrese)

2 risposte a “A casa di Nancy

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