Quando, ormai dieci anni fa, decisi di cominciare a scrivere questo blog non avevo la minima idea di che piega avrebbe preso, dove mi avrebbe portato e per quanto tempo avrebbe accompagnato e illuminato il mio cammino. Davanti a me avevo solo una sfilza di pagine bianche. E poche cose al mondo terrorizzano come il bianco di una pagina vuota.
Era settembre e stava calando il sipario su un’altra estate italiana. Il tempo aveva assestato l’ennesimo fendente alla mia giovinezza, che già cominciava a barcollare. I primi colpi fanno sempre più male: la carne è ancora tenera e la lama scivola docilmente e in profondità. Dopo un po’ le coltellate di fine estate diventano pura routine, non dovrebbe essere così ma tant’è.
Quel finale di stagione di dieci anni fa però me lo ricordo bene perché, mentre alle mie spalle si chiudevano frettolosamente i cancelli della formazione, almeno di quella nozionistica, davanti ai miei occhi si spalancava con un cigolio sinistro la porticina della vita “reale”, o come diavolo la chiamano.
Per me quella porta conduceva direttamente dall’altra parte del mondo.
Da quando l’ho varcata, l’estate, e soprattutto la sua fine, hanno assunto un sapore diverso, pungente e speziato. C’era sempre quel senso di morte e rinascita, ma era come attutito.
Forse perché mi ero lanciato a tutta forza in una lavatrice perennemente accesa e nel caos calcolato della centrifuga pensieri e sensanzioni si mischiano in un gomitolo impossibile da sbrogliare.
Mancava sicuramente quel venticello che adesso, mentre scrivo, si infila furtivo tra le imposte semichiuse del piccolo appartamento di Roma. E lo so benissimo cosa vuole da me. Vorrebbe convincermi che tutto questo mi è dannatamente mancato e non potrò, non dovrò, più privarmene in futuro. Sarebbe un peccato, uno sputo in faccia alla fortunata sorte che il Fato ha previsto per me.
Perché in fondo l’estate è il momento migliore per essere italiani. Perché quando il cielo e il mare ad un certo punto della giornata si abbracciano e divengono l’uno parte dell’altro sai di essere di fronte alla manifestazione più potente del Divino.
Sì ma allora cos’è questo senso di déjà-vu? Com’è che 10 anni dopo, mentre la lama trapassa la mia carne indurita dal tempo per la trentacinquesima volta quasi senza provocarmi il minimo dolore, sento la stessa inconfondibile adrenalina? La riconosco subito come il venticello di poco fa: è di quelle che ti impediscono di fermarti, che ti portano lontano.
Di nuovo, molto lontano.
La mia malinconia è tutta colpa tua
The Giornalisti