Le batoste che fanno più male sono quelle delle 3 del mattino. Ci arrivi sfatto e spossato dopo esserti inventato di tutto per far passare le ore. Prendi una birra lì, poi mangi qualcosa da un’altra parte, poi ti fai un cicchetto in quell’altro posto, poi partecipi ad un torneo di risiko online, poi ti spari una maratona di Indiana Jones, poi impari a giocare a majong.
E quando guardi l’orologio e ti accorgi che mancano ancora due ore alla partita cominciano a piovere imprecazioni come le rane in Magnolia, con una intensità sovrannaturale. L’adrenalina pre-match giunge al suo zenit all’incirca verso l’1 e 30, poi la curva inesorabilmente cala a picco, in modo inversamente proporzionale al tuo giramento di palle tra l’altro.
Questo è il momento più delicato, quello dei ripensamenti, dei: “ma a me in fondo, ma che me ne fotte?” prima sussurrati e poi, rimasti inascoltati, urlati a gran voce dalla propria coscienza che intanto si avvia verso l’obnubilazione. Quando, un’oretta dopo, ti ha definitivamente abbandonato, ci sei solo tu davanti ad uno schermo verde con gente che corre appresso ad un pallone.
Ti viene da chiederti quand’è che l’umanità ha perso il gusto di dormire a quell’ora della notte. La tua mente narcotizzata dal sonno elabora immagini confuse e suoni ovattati, come un vecchio registratore di cassette VHS degli anni ’90.
Le più disparate sensazioni si arrampicano l’una sull’altra fino a diventare un ammasso informe. In un casino del genere è difficile andare a pescare anche quelle più basilari, come la gioia per un gol fatto o la delusione per uno subito, l’incazzatura per una decisione arbitrale dubbia o il compiacimento per l’infortunio di un avversario. Quindi ti arrangi con quello che ti rimane, regredisci ad uno stadio primordiale in cui emetti effetti sonori ambivalenti, compatibili con quasi tutte le casistiche che possono capitare.
No, non è una roba semplice questa del tifoso nottambulo, costretto a fruire del calcio in differita, ad assistere a eventi sportivi che stanno avendo luogo ad altre longitudini. E pensare che qui in Cina è un vero culto di massa, una consuetudine che taglia trasversalmente le generazioni di un popolo che forse, per arrivare a tanto, davvero non ha niente di meglio da guardare.
Leggevo che un tipo ci è addirittura rimasto secco. Aveva deciso di vedersi tutte le partite dei mondiali del 2014 ma si e’ auto-eliminato ai quarti per aver dormito un’ora in due settimane.
Quando ripenso a questi anni vissuti così, arrancando fino all’alba per elemosinare un risultato finale vagamente soddisfacente, non posso che fare la conta delle ore di sonno che la mia ostinazione per il calcio e la necessaria suddivisione del mondo in time zones mi hanno sottratto.
C’è una spietata lucidità che ti coglie d’improvviso quando fuori spuntano i primi raggi di sole e ti rendi conto di aver perso un’altra finale o essere uscito di nuovo ai rigori. Le quattro pappine prese dalla Spagna nel 2012, il morso di Suarez nel 2014, il gesto del tronista Pellé dagli undici metri nel 2016, le due finali di Champions perse dalla Juve negli ultimi tre anni.
Ricordi dolorosi che si sono prepotentemente messi tra me e la prospettiva di un’altra nottata in bianco non per una finale questa volta ma per uno spareggio, che forse è molto più decisivo perché di mezzo c’è quella bomba a mano che chiamiamo “onore”.
Però se vi dicessi che leggere il severo verdetto del campo la mattina dopo su Repubblica mi abbia procurato meno sofferenza, direi una stronzata. Se vi dicessi che le lacrime di Buffon dopo una bella dormita mi abbiano fatto meno male, che la consapevolezza di avere uno come Tavecchio a capo del movimento calcistico italiano sia meno deprimente, che vedere la mia Nazionale ridotta così mi abbia amareggiato meno, beh sarebbero un mucchio di panzane.
Forse alcune batoste lasciano un segno ancora più profondo di quanto non facciano quelle delle 3 del mattino.
Notti magiche inseguendo un gol, sotto il cielo di un’estate italiana.
(Gianna Nannini)