La ragazza è ferma sul ciglio della strada, alle sue spalle l’elegante ingresso di un albergo di medio-alto livello e davanti a lei l’incessante processione di un vasto campionario di vetture.
I modelli più disparati le sfilano sotto il naso con indifferenza, ma tra tutti sembra mancare all’appello quello che più farebbe gola alla protagonista della nostra storia. In tutto il mondo lo chiamano taxi, ma in Cina dovrebbero cambiargli il nome in qualcosa come: “mezzo-automobilistico-che-quando-potrebbe-salvarti-la-vita-perché-sei-in-un-fottuto-ritardo-non-si-fa-vivo-che-lo-possino-ammazzare-sto-stronzo”.
La fanciulla si guarda intorno, prova timidamente a sollevare una mano perché non si sa mai (ma riesce solo ad attrarre l’attenzione di un ambulante che pensa di aver trovato l’acquirente giusto per i suoi gustosi spaghetti allo smog e all’acqua di pozzanghera). Si rivolge a San Gennaro, poi rinuncia e vira su sant’Ambrogio perché sti santi del sud in estate col cazzo che si fanno trovare, ma anche quello niente, non ne vuole sapere e giustamente dice: “ma perché devo lavorare e pagare le tasse anche per quei santi terronacci? Cà nisciun è fess (come si dice vicino Vergate sul Membro, nel varesotto, ndr)”.
All’improvviso, proprio mentre la ragazza sta pensando di rivolgersi direttamente alla direzione generale nella persona di Gesù Cristo per protestare contro i disservizi causati dalla mancanza di professionalità della ben pagata classe dei santi, ecco che un ciclomotore (era dai tempi della scuola guida che sognavo di poter usare questa parola) le si affianca e l’autista, un giovane uomo di mezza età compresa tra i 23 e i 56 anni, propone di darle uno strappo in cambio di una manciata del vile danaro che, in quanto straniera e quindi automaticamente ricca, sicuramente la donzelletta reca con sè. Lei accetta senza riserve ed ecco che i due nuovi compagni di viaggio si tuffano nella roboante fiumana di lamiere e pneumatici che scorre all’impazzata da una parte all’altra dell’afosa Chengdu.
Eccoli zigzagare tra ingombranti mostri a quattro ruote che rimangono impantanati, vittime della propria stazza, e osservano impassibili i due mentre si perdono oltre l’orizzonte.
La nostra eroina si sente come in un film, con il vento che le sbatte in faccia e i passanti che la scrutano incuriositi ed ammirati, e questa sensazione non può che aumentare quando i due imboccano una stradina chiusa al traffico piena di negozi e shopper compulsivi che nascondono l’inutilità delle loro esistenze dietro bustone stracolme di oggetti sopravvalutati to say the least.
Ma la pellicola cambia genere in un attimo: da puttanata romantica per ragazzini brufolosi diventa un poliziesco con folli inseguimenti e un sottofondo di sirene spiegate. I tutori della legge che sono alle loro spalle non hanno il culo sulle poltroncine di una macchina con scritto NYPD sulla fiancata, ma stanno comunque correndo verso di loro con le mani protese per intimare l’arresto del veicolo.
La ragazza chiede al suo Caronte se non sarebbe il caso di frenare la loro corsa, ma quello ormai è entrato nel personaggio, si sente come Dennis Hopper a bordo del suo Chopper nelle sconfinate strade del Midwest. E Dennis Hopper non si sarebbe mai fermato in circostanze del genere.
Ma tutti gli eroi prima o poi cadono, e il nostro lo fa nel modo più imbarazzante, dopo essere andato a sbattere contro una vetrina D&G con dentro ciabatte brillantinate col ciuffo dorato.
I nostri due amici si trovano a terra. Non hanno nemmeno il tempo di chiedersi se cammineranno ancora sulle proprie gambe, che i piedipiatti gli sono già addosso. Il pilota viene tirato su come uno straccetto umido e quattro agenti lasciano partire una cazziata-sermone che nemmeno la più stracciamaroni delle mamme avrebbe mai potuto mettere in scena.
La ragazza viene fatta allontare da altrettanti ufficiali, che le consigliano di prendere la propria strada e non farsi più vedere. Un moto di tenerezza e riconoscenza si impossessa di lei. Che ne sarà del prode cavaliere che coraggiosamente aveva accettato la sfida di farla arrivare in tempo al suo appuntamento contro ogni pronostico? Sarà multato, e anche salatamente, rispondono lapidari quelli.
Questa è la parte del film in cui urliamo verso lo schermo: “Vattene via! Sparisci! Ma insomma te ne vuoi andare e mettere al sicuro la pellaccia?”. E come sempre il testardo personaggio a cui sono rivolti i nostri allarmati appelli non ci sente, o, se lo fa, non ci dà ascolto.
Trascinata dai sensi di colpa, la ragazza torna sul luogo del misfatto e dichiara solennemente di essere responsabile al 50% dell’accaduto e di essere pronta a pagare metà della multa che verrà inflitta al povero disgraziato. Nessuno ha niente in contrario, men che meno il diretto interessato.
Ma gli shopper compulsivi che hanno assistito alla scena hanno dei solidi principi Roberto Cavalli, di quelli placcati in oro massiccio, e non approvano che l’uomo debba intascare i soldi della fanciulla straniera, a cui si sentono vicini perché proviene dal pianeta in cui sono state date alla luce le borse pitonate.
Cominciano a volare offese tipo: “sei più vile di un falsificatore di cinture Ferragamo.” Dalle parole alle intimidazioni il passo è breve, e in men che non si dica siamo alla zuffa scomposta, con calci sulle ginocchia, sputi nelle palle degli occhi e tirate di capelli.
La ragazza resta per un attimo ad osservare la scena, come ipnotizzata. Cosa le passi esattamente per la testa è difficile a dirsi. Poi, ancora claudicante, abbandona l’inquadratura.
Get your motor runnin’/Head out on the highway/Looking for adventure/In whatever comes our way (Steppewolf)