La ‘Nduja

In principio era il pane. Soffice o croccante, bianco o integrale. Poi a qualcuno venne l’idea di spalmarci sopra della ‘nduja, dalla consistenza cremosa e dal colore che ricordava quello della lava che scorre nelle viscere della Terra. Da quel momento niente è stato più come prima.

Questo qualcuno viveva in un luogo remoto, quasi inaccessibile, e si esprimeva in un’idioma sconosciuto ai più, con un accento che nemmeno anni di esilio in terre lontane avrebbero potuto scalfire. Davanti ai suoi occhi un mare che si confondeva col cielo e alle sue spalle montagne che non sorridevano mai.

La sua tavola era imbandita come se fosse sempre domenica, sebbene guardandolo non si potesse dire che era un uomo ricco. Carne e pesce abbondavano, il formaggio non mancava mai, e così nemmeno i legumi e gli ortaggi, per non parlare degli agrumi che luccicavano al sole sui rami degli alberi. Nelle notti d’estate il vento circondava le case e le cullava in un abbraccio materno, intonando nenie misteriose.

Era una vita semplice, che si addiceva perlopiù a bambini e vecchi, così quando i figli crebbero decisero di andare per il mondo. Volevano scoprire se anche altrove gli ulivi crescevano alti e rigogliosi, i campi si estendevano a perdita d’occhio e si poteva camminare per giorni senza imbattersi in altri esseri viventi che non fossero capre o uccelli. Non trovarono niente di tutto ciò, e molti tornarono di corsa a casa urlando che tutto quello di cui avevano bisogno era già lì.

I pochi che resistettero a questa tentazione dovettero fare i conti con privazioni di ogni tipo, rigidi inverni e la diffidenza delle persone che avevano intorno. Impararono a loro spese che il confronto con altre genti era una cosa delicata e dolorosa come la crescita, che poteva arricchire e distruggere allo stesso tempo.

Quelli che non si chiusero nel proprio orgoglio e riuscirono a fare della propria unicità un’arma e non un ostacolo, si trovarono da un giorno all’altro a porsi molte domande. Erano cambiati, maturati come le pesche che da piccoli avevano osservato farsi belle e grosse come pugni quando arrivava la primavera, e il loro punto di vista sul mondo non era più lo stesso.

Fu così che tornarono da dove erano partiti sempre meno spesso e ogni volta era come sfogliare un vecchio album di foto sbiadite. Non facevano in tempo ad aprirlo che già sentivano il bisogno di richiuderlo, chiedendosi come mai, mentre a pochi passi da quelle montagne c’era tutto un universo che mutava e si evolveva secondo dopo secondo, sembrava che lì poco altro fosse successo da quando quel tipo aveva avuto la brillante intuizione di spalmare della ‘nduja su una fatta di pane.

Talvolta hai un vuoto così grande che solo una zeppola con la sarda può colmare.

(Christian Calabria)

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