Si fanno tante sciocchezze per amore del rock. Per Lui si affrontano a testa alta situazioni delicate e condizioni climatiche proibitive. Come l’afa estiva di Chengdu nel primo pomeriggio, quella che ti serra il respiro e ti oscura i sensi. A chi ci chiede perchè lo facciamo, rispondiamo che un’astinenza prolungata può confondere la mente, e ci sono dei giorni in cui non possiamo semplicemente scuotere la testa e dire a noi stessi che la Cina comporta tante, troppe rinunce.
In quei giorni l’unica alternativa possibile è la strada: bisogna prenderla senza esitazioni, salire sul primo taxi sgangherato che passa, anche se si è in 6 e l’autista deve chiamare in continuazione i suoi amici per capire da che parte andare. E occorre mantenere il sangue freddo lungo la via, perché può capitare di sentire d’improvviso un rumore simile ad un tonfo provenire dal motore, seguito da una violenta zaffata di gas.
Qualcuno lassù nell’Olimpo delle Rockstar sta mettendo in dubbio la tua fede e devi solo dimostrargli che sei lucido e proseguirai il tuo viaggio in altri modi, ignorando i tentativi del tassista di convincerti che l’auto non esploderà accendendo un cerino davanti ai tuoi occhi atterriti.
Così ti ritrovi di nuovo sulle tue gambe malferme ad aspettare un bus che forse nemmeno esiste. Ma anche qui è una questione di fede: è lei che ti impedisce di salire su uno qualsiasi dei tanti bus che si fermano a pochi passi da te, con le loro seducenti promesse di posti a sedere e aria condizionata a volontà.
Chissà dove portano, ti chiedi istintivamente. Magari verso luoghi freschi, palme e margaritas gelati, spiagge dorate e donne belle come angeli. No, resisti.
E infatti in lontananza, tra nubi di smog, si materializza il 666, il bus dei dannati. Schiacciato tra teenager brufolosi in vena di smancerie e grosse sporte di anziane signore, le tue convinzioni vacillano ad ogni curva.
Ma sai che la meta non può essere lontana, riesci quasi a sentire il suono di Stratocaster che vengono sventrate sul palco, il boato del pubblico in delirio, il click di mille lattine di birra ghiacciata aperte contemporaneamente. Eccoti, ci sei quasi, il controllo biglietti e, alle sue spalle, lo stage finalmente. Imponente come un totem da cui non riesci a distogliere lo sguardo.
Se solo quei ragazzini che si dibattono come degli ossessi con le loro chitarrine e i loro quattro accordi in croce smettessero di profanarlo con le loro canzoncine senz’anima. E cosa avranno poi da urlare quelli lì sotto? Staranno mica immaginando di assistere ad un concerto di Jimi Hendrix come in una sorta di allucinazione collettiva? No, sono solo gli stessi teenager che affollavano il 666, e se guardi bene c’è anche qualche anziana signora con la sua sporta.
“È ancora troppo presto, le band migliori arrivano dopo” ci raccontiamo per farci forza a vicenda. Ma quando scopriamo che nessuno si è preoccupato di mettere le birre in un mega frigorifero, un’ineffabile disperazione prende il sopravvento. Vaghiamo sconsolati tra stand che espongono maniche con finti tatuaggi, occhiali enormi e magliette dalle frasi improbabili tipo “You can you up”. Tutti gadget di cui le tredicenni cinesi che affollano il tristissimo Love Stage, poco più avanti, fanno incetta.
A noi non rimane che l’emarginazione: il palco hip hop e quello elettronico, i più piccoli e nascosti dell’intero festival. Sul primo è in corso una vera e propria sfida a colpi di rap tra alcuni bulletti di quartiere, con il pubblico che incalza entusiasta ad ogni offesa in rima. Chissà quali insulti stanno volando, dev’essere roba pesante tipo: “tua mamma va con gli uiguri.”
Il secondo è un ricettacolo di cinesi flesciatissimi e americani in canottiera grigia e sandali. Ci guardiamo negli occhi senza parlare. Ci abbiamo provato, e probabilmente, per adesso, più di così non è possibile fare.
Ma mentre guadagniamo l’uscita a testa bassa, sul palco principale appare un tipo che indossa solamente una casacca fatta di specchietti, tipo la palla a specchi da discoteca, e prende ad urlare come se non ci fosse un domani, accompagnato da una band vestita in maniera altrettanto improponibile.
Era il segno che stavamo aspettando, la flebile fiammella che riporta un po’ di speranza in questo medioevo del rock che è la Cina di oggi.
I wanna rock and roll all night and party every day
(Kiss)