I gabbiani sono dappertutto. Alcuni se ne stanno appollaiati sulle fontane che emergono dalla superficie del lago, altri descrivono ampi cerchi sopra le nostre teste, per poi fiondarsi sui pezzi di pane raffermo tenuti in alto dai tanti bambini presenti.
“Ho sentito dire che vengono dalla Siberia” mi informa Mike, mentre parcheggia la sua poderosa bici nera e si asciuga la fronte imperlata di sudore. “Attraversano tutta l’Asia e si fermano proprio qui a Kunming.” Il ragazzo di Atlanta, Georgia, si guarda intorno schermandosi gli occhi con una mano. È una bella giornata di sole come non se ne vedevano da tempo da queste parti.
Ci sediamo all’ombra e facciamo il punto della situazione. Dei 6 appartamenti visti finora, appena un paio sono decenti, gli altri li abbiamo scartati immediatamente. Ce n’era uno in cui la porta di una delle due camere da letto era costituita da una sbiadita tendina dai motivi floreali, un altro avvolto in una perenne semi-oscurità dalla quale ci aspettavamo di veder comparire uno stormo di pipistrelli, un altro ancora con tavoli da mahjong al posto dei letti.
Non sono un viziato, per carità, è solo che, quando entro in un appartamento fatto solo di muri che separano stanze semivuote, faccio fatica ad immaginare la mia vita lì dentro. O forse mi spaventa l’idea di dovermi rimboccare le maniche e fare di quel luogo abitativo una casa.
Decidiamo per l’ultimo tentativo della giornata e ci rimettiamo in sella. Questa volta ad accoglierci non sarà un agente immobiliare cinese vestito di tutto punto, ma un ragazzo inglese con moglie e figlioletta. Dopo un intero pomeriggio passato a chiedere delucidazioni in una lingua che entrambi non padroneggiamo, questa è sicuramente una buona notizia.
“Sai che questa è la prima volta che prendo la bici da quando sono a Kunming?” dico a Mike mentre ci immettiamo nel traffico. Lui invece vive in simbiosi con il suo mezzo. Scommetto che le ha dato anche un nome, uno tipo Barbie o Donna, e che ogni domenica mattina le fa il bagno. Appena può, si solleva sui pedali, inarca la schiena e con uno scatto improvviso si getta in avanti.
Da dietro lo osservo rassegnato zigzagare tra i motorini, mentre spingo con fatica sui pedali della mountain bike di Eddy. Una bici dignitosa, ci mancherebbe, ma non certo un fulmine. Così Mike deve frenare la sua foga ad ogni curva e aspettare il mio arrivo.
Dopo mezzora e 4 telefonate a Nick, così si chiama l’inglese, arriviamo a destinazione. Ciò che vediamo non appena entrati ci appare come una visione: dopo tante ipotetiche case, eccone finalmente una che si può definire tale. Peccato che, una volta che gli inglesi se ne saranno andati, questo posto tornerà ad essere un insieme di muri che separano stanze semivuote. E allora che farò? Per la prima volta nella mia vita mi prenderò la responsabilità e la seccatura di fare di un luogo abitativo una casa?
“Io dico di prenderla.” Il ragazzo di Atlanta, Georgia, si è avvicinato a me e sta ammirando il fiume Panlong che scorre proprio sotto di noi. Questa parte dell’appartamento è particolarmente luminosa, con una grande finestra che dà sul lungofiume e su una stradina poco trafficata. La moglie di Nick ci suonava il piano. Io potrei usarla per scrivere.
Salutiamo i due inglesi: li chiameremo domattina per l’eventuale conferma.
“Beh, direi che abbiamo fatto un buon lavoro” dice Mike una volta in strada tendendomi la mano. “A proposito, perchè ti vuoi trasferire?” Mi stringo nelle spalle. “Ho solo voglia di cambiare aria.”
Risalgo in groppa a Rosa (l’avrei chiamata senz’altro così se fosse mia) e mi avvio verso casa di Eddy, i muscoli delle gambe doloranti e il volto arrossato dal sole.
È una bella giornata ed ho come l’impressione che la mia avventura in Cina sia ad un nuovo bivio.
Bello, non ti passa +, te la sei voluta tu, vuoi la bicicletta e poi pedalare & xxxxx tuoi (883)
Man, gli 883.
Eh già… loro avevano sempre una risposta a tutto
…e mo’ pedala! In GRASSETTO!
hai voluto la carota? e mò… non farmi essere volgare va…