Oh Capitano! Mio Capitano! – I marmocchi ed io

La “Water-Apple English School” si trova al quinto e sesto piano di un palazzo non troppo moderno a dieci minuti dal centro. Salendo per le scale si incontrano solo uffici e donne delle pulizie. Arrivati in cima, come per magia, i muri si dipingono di un rosso acceso e dappertutto spuntano foto di marmocchietti cinesi intenti ad apprendere la lingua di Sua Maestà. Il silenzio desolante dei primi piani lascia il posto ad urla demoniache.

Se l’inferno esiste, deve essere più o meno così. Ripenso per un attimo al “colloquio” di una settimana fa con King, Rita e la ragazza senza nome. Intanto un giovanotto cinese mi si è avvicinato e mi sta fissando. “Tu devi essere nuovo. Non ti ho mai visto.” C’è qualcosa di molto, molto strano nel suo inglese. Dev’essere il suo accento.

Gli spiego che ho una lezione di prova con i marm… ehm con i simpatici frugoletti. “Ah bene! Io mi chiamo Richard.” Sì, è decisamente il suo accento. Sembra che si sia mangiato un native speaker londinese e qualche pezzo gli sia rimasto incastrato tra i denti. “Sei mai stato in Inghilterra?” gli chiedo. “No, mai. Però studio il British English da qualche anno. La maggior parte dei cinesi parla inglese con quell’orribile accento americano. Io penso che l’unico, vero inglese sia quello dell’Inghilterra.”

Chissà se parla così anche quando fa lezione e, se sì, se le piccole pesti riescono a capirci qualcosa. Prestare attenzione alla pronuncia di ogni singola parola dev’essere estenuante e spesso, come nel caso di Richard, si rischia di risultare poco naturali e stancare l’ascoltatore. “Sto pianificando un viaggio in Italia, non è che potresti darmi delle dritte?” Guardo l’orologio e, con grande sollievo, mi rendo conto che è quasi ora della lezione di prova.

Un’ottima scusa per sfuggire dalle grinfie di questa sottospecie di fanatico falsificatore di accenti. Lo saluto, promettendogli che senz’altro gli darò qualche consiglio una volta o l’altra, dopodichè mi precipito verso le aule senza guardarmi indietro. “Giuseppe, ricordami un attimo perchè sto facendo tutto questo.” Soldi. “Ok, ricevuto, procedi pure.”

Quando entro nell’aula, il ragazzetto che si fa chiamare King, come il celebre pianista e cantante di colore degli anni ’50 autore della struggente “Smile”, è alla lavagna e sta spiegando qualcosa ad un gruppetto di mezze cartucce sedute di fronte a lui su minuscole sedie di plastica.

Appena mi vede, mette il cappuccio al pennarello nero che tiene in mano e mi presenta ufficialmente al suo pubblico. Infine si va a sedere in fondo all’aula e prende a scribacchiare qualcosa su un taccuino. Le mezze cartucce sono otto in tutto e mi scrutano dalla testa ai piedi. Comincio dalle presentazioni. Hanno tutti un’età compresa tra i 6 e i 10 anni e dei nomi inglesi più o meno comuni, tipo: Jack, Steve, Kevin, Lisa, Rose.

Mi domando se se li siano scelti da soli o se qualcuno li abbia aiutati. Forse all’entrata della scuola c’è un “Distributore di nomi”: 1 yuan 2 nomi, 2 yuan 5 nomi. Svanito l’iniziale “effetto sorpresa”, ognuno torna a fare quello che fa di solito in classe: quelli diligenti mi ascoltano e rispondono alle mie domande, quelli vivaci cominciano a rincorrersi tra i banchi, quelli lobotomizzati fissano il vuoto con occhi vitrei. Molti di loro, nonostante la giovanissima età, hanno già una vita stressante e delle giornate fittissime di impegni extra-scolastici e corsi di ogni tipo.

Pianoforte, poesia, calligrafia, ufologia, riflessologia, violino, violoncello, canto, recitazione. E questo per essere sempre una spanna sopra gli altri, entrare nelle università più rinomate, ottenere i lavori più prestigiosi e fare tanti soldi. Ognuno reagisce a questa pressione a modo suo, ma più o meno tutti vengono su come automi incapaci di ragionare con la propria testa, introversi e insicuri, con notevoli difficoltà nelle relazioni interpersonali.

Tutto questo le otto piccole canaglie che mi stanno di fronte ancora non lo sanno, e, a meno che non decideranno di trascorrere qualche anno all’estero in futuro, probabilmente non lo realizzeranno mai. Per adesso quel che conta per loro è far contenti i loro genitori: far bene i compiti, imparare l’inglese, suonare qualche strumento musicale. I trenta minuti di lezione scivolano via rapidamente, e, nonostante il fortissimo mal di testa e le corde vocali in fiamme, penso che ci siano lavori molto peggiori di questo.

Il ragazzetto che si fa chiamare King, come la catena di fast food che fa concorrenza a McDonald’s, mi ringrazia e mi informa che riceverò presto una mail con i giorni e gli orari delle prossime lezioni. Nel corridoio trovo Rita ad aspettarmi. Mi chiede com’è andata la lezione, poi mi segue verso l’uscita continuando a fare domande anche piuttosto personali, del genere: “Che fai nel tuo tempo libero?”, “Hai la ragazza?”.

Io faccio finta di non capire e punto deciso l’uscita. Arrivato a metà strada scorgo Richard immobile di fronte alla porta, con una cartina dell’Italia in una mano e un foglio bianco nell’altra. Istintivamente prendo il cellulare e faccio finta di aver ricevuto una chiamata. “C’è un’uscita secondaria?” chiedo a Rita, che non vuole saperne di staccarsi da me. “Da quella parte.” Faccio dietro-front e imbocco la porta. Scendo le scale di corsa, temendo di essere seguito. Al secondo piano rallento l’andatura e rimetto il cellulare in tasca.

Mentre cerco di riprendere fiato, una donna mi passa davanti tenendo per mano la sua bambina. “Saluta il maestro di inglese.”

That’s the time you must keep on trying / Smile, what’s the use of crying? / You’ll find that life is still worthwhile / If you just smile (Nat “King” Cole)

4 risposte a “Oh Capitano! Mio Capitano! – I marmocchi ed io

  1. Giu!!! Vorrei proprio vederti, circondato da tanti cinesi in miniatura! 😉 Un bacetto dal tuo medico personale, ben contenta di sentirti poco in questi mesi!

    • Cuginetta, anch’io sono stato molto contento che non ci siamo sentiti quasi per nulla 🙂 L’unica cosa che mi dispiace è che siamo riusciti a beccarci solo un paio di volte durante le vacanze di Natale..

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