Esattamente un anno fa mi trovavo nella stessa posizione in cui sono adesso: steso a pancia in giu su un letto con davanti un computer. Stavo scrivendo il primo post di questo blog. Di quello che sarebbe successo di lì a poco, nemmeno la minima idea. Poi l’accelerazione improvvisa, di quelle da mal di testa. Volo-fuso-università-nancy-polacchi-esami-natale-capodanno-michela-giovanna-risaie-capodannocinese-tarantino-irene-movida-puzhehei-boatparty-marmocchi.
Un intero anno della tua vita che se ne va così, con una fretta inaudita, senza lasciare spiegazioni, apparentemente senza alcun perchè. Altro che giro di giostra, come direbbe Terzani, questo è più un tiro di schioppo che ti scaglia lontanissimo nel giro di qualche secondo. Perlomeno, hai l’impressione che sia solo qualche secondo.
Sì perchè, quando riapri gli occhi e ti fai due calcoli, capisci che, oltre ad essere finito dall’altra parte del mondo, è passato anche un bel po’ di tempo da quando hai deciso, chissà poi per quale motivo, di farti sparare via. In fondo non è così difficile, basta solo un pò di sana disperazione/follia.
Molto più arduo, se non impossibile, è fare il percorso a ritroso, tornare da dove si è partiti. Siamo cartucce fumanti da queste parti, ci siamo talmente abituati a muoverci alla velocità della luce che fermarsi, o anche solo rallentare, sarebbe un po’ come morire. D’altra parte, continuando a viaggiare a questi ritmi vorticosi, la prossima volta che mi stenderò a pancia in giu su un letto con davanti un computer, realizzerò che sarà passato un altro anno.
E allora che fare? È proprio questo, signori e signore, il nocciolo della questione. Come riuscire a fermarsi giusto un attimo prima di prendere fuoco? E una volta fermi, da che parte andare?
Ne ho parlato col tarantino qualche sera fa, se non ricordo male proprio il giorno del mio ventiseiesimo compleanno, davanti a un po’ di birre. Il mitico John Nevada aveva appena smesso la chitarra dopo l’ennesimo strepitoso concerto, e noi ce ne stavamo lì a finire le nostre birre e guardare le persone andare via. Ho detto al tarantino, o forse lui lo ha detto a me, che la Cina ci ha cambiati profondamente, e probabilmente per sempre.
O meglio: ha scavato dentro di noi come una potente trivella che penetra luoghi sconosciuti persino a noi stessi e libera strane energie primordiali. Certo, era pur sempre uno di quei discorsi astratti che si fanno alla fine di una festa e dopo aver ingollato vari litri di alcol, ma tuttora sono convinto della sua ragionevolezza.
Se potessi, lo spiegherei a mia madre e a tutte le altre persone che mi chiedono cosa ci faccia ancora qui. Dovrei scegliere le parole giuste, dosare il tono, portare più di un argomento a sostegno della mia tesi. E alla fine non è detto che capiscano. Sarebbe come parlare attraverso un vetro spesso e appannato, o come cercare di rivelare un segreto da un treno in corsa a chi ha scelto di rimanere a terra.
Al contrario dei pesci, che coi loro occhi guardano di lato, e delle mosche, che invece guardano dappertutto, noi umani possiamo solo guardare avanti
(dal film “Caterina va in città”)