Oh Capitano, Mio Capitano – A colloquio

“Bene, per cominciare cantaci una canzone.” Guardo dritto negli occhi il ragazzetto cinese che si fa chiamare King, come il grande Elvis, sperando che da un momento all’altro si metta a ridere e dica: “Ah ci sei cascato. Ti pare che ti faccio cantare una canzone ad un colloquio di lavoro?” Invece King resta impassibile, con quella sua aria da impiegatuccio zelante e quel suo taglio di capelli ordinato e preciso. Lo conosco da meno di 5 minuti e già lo odio. Alle sue spalle, Rita e un’altra ragazza mi fissano in attesa. Rita è quella con cui ho parlato a telefono qualche giorno fa. È la vice-direttrice della scuola ma parla un inglese pessimo, il peggiore che abbia mai sentito. Sono talmente scioccato dalla richiesta che per un intero, interminabile minuto non riesco nemmeno a pensare. In un attimo mi passano per la testa miliardi di immagini senza che possa afferrarne nemmeno una. Sono paralizzato, ed è tutta colpa di questo stronzetto che, ad un colloquio di lavoro, mi chiede di cantargli una canzone. Mi sono messo la camicia, mi sono spruzzato un pò di profumo, ho stampato un CV in inglese dopo aver passato un intero pomeriggio a correggerlo e riguardarlo. E questo vuole sentirmi cantare. “Che ne dici di We wish you a merry Christmas?” incalza il ragazzino. E in quel momento mi ricordo improvvisamente dove sono e cosa sto facendo. “Sei in Cina dannazione, ti aspetti che nelle cose che fai ci sia una logica? Stronzate. Fà quello che ti dice senza ragionarci troppo. Soltanto, fallo con un po’ di dignità.” Un pensiero lucido, finalmente. Va bene, hai vinto tu stronzetto. Vuoi che faccia il pagliaccio? Ebbene, sarò il miglior pagliaccio che tu abbia mai visto. E mi metto a cantare. Non perchè abbia disperatamente bisogno di questo lavoro, ma per dimostrare a me stesso che posso fare tutto nella vita. Anche cantare We wish you a merry Christmas ad un colloquio di lavoro. Lui mi guarda con una punta di soddisfazione da dietro i suoi occhiali. “Bene continuiamo. Perchè non mi disegni una bella tigre?” Mi passa un foglio e una matita, senza staccarmi per un attimo gli occhi di dosso. Solo un anno fa mi trovavo faccia a faccia con una commissione di illustri sinologi a presentare la mia tesi magistrale in storia della Cina, e adesso devo cantare e disegnare di fronte a tre sedicenti insegnanti di inglese con gli occhi a mandorla. “Un bel respiro Giuseppe, tra poco sarai fuori di qui e potrai dimenticarti di tutta questa brutta faccenda.” Stringo la matita con tutta la forza che ho e abbozzo i contorni di un essere informe e orripilante che sembra uscito da un romanzo di Stephen King. I tre scrutano il disegno per qualche istante. La ragazza senza nome accenna un sorriso compassionevole. Il ragazzetto che si fa chiamare King, come il famoso scrittore americano, riprende la parola. “Vedo dal curriculum che non hai alcuna esperienza di lavoro a contatto con i bambini.” Io gli spiego che ho già avuto a che fare con dei mostriciattoli in Italia: davo ripetizioni di inglese a ragazzini delle medie. “Delle medie…” sogghigna, voltandosi verso le due ragazze che gli stanno alle spalle. Loro gli rispondono con un sorrisetto divertito, come se dalla mia bocca fosse uscita la più grande delle baggianate. Il ragazzino si volta nuovamente verso di me e, tornando improvvisamente serio, sussurra: “E’ bene che tu sappia che i nostri alunni hanno un’età compresa tra i 6 e i 10 anni. Alcuni di loro sono estremamente vivaci, altri sono insopportabilmente vivaci, altri ancora sono praticamente ingestibili.” Ripenso per un attimo ai racconti agghiaccianti di Irene. Sì, ci è passata anche lei, come del resto la quasi totalità degli stranieri qui a Kunmng. C’era una ragazza che insegnava in tre scuole contemporaneamente. Un giorno è scomparsa misteriosamente. Si dice in giro che abbia fatto un marmocchicidio prima di andare a rifugiarsi in qualche remota regione montuosa per ritrovare la pace interiore. Quelli di Irene erano un vero è proprio cataclisma, una piaga, come la peste bubbonica o la lebbra. Erano solo in tre ma stavano per procurarle una crisi di nervi. “Posso immaginare” rispondo secco. Il ragazzetto che si fa chiamare King, come l’attivista per i diritti degli afro – americani, dà un’ultima scorsa al mio CV e si toglie gli occhiali. “Bene, direi che ci siamo detti tutto. Ti aspettiamo mercoledì prossimo per la lezione di prova.”

continua la settimana prossima

“I miei problemi sono iniziati con la prima educazione. Andavo in una scuola per insegnanti disagiati” (Woody Allen)

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