Una donna chiamata Mama Naxi

Quando Mama Naxi sbuca dalla cucina con il testa il suo cappello bianco da chef, penso che è proprio come me l’ero immaginata. Una donnina energica dagli occhietti luccicanti e dai movimenti felini che non si ferma un attimo. Passa e spassa tra i tavoli pieni di giovani backpackers di tutto il mondo che gustano le sue prelibatezze dopo un giorno di faticose ma appaganti escursioni a migliaia di metri d’altezza, per poi tornare in cucina e preparare altri piatti per altri giovani backpackers che stanno per arrivare. Anche il posto che ha messo su con le sue figlie, il “Mama Naxi’s Guesthouse”, è esattamente come me lo aspettavo. Una sorta di baita di montagna dal clima familiare e disteso, dove, anche se si viaggia in solitaria, non ci si sente mai soli. Dove, dalle sei e trenta del pomeriggio, quando le ombre cominciano ad allungarsi tra le deliziose casette di Lijiang e un vento gelido prende a soffiare tra le sue viuzze di pietra, ti capita di ritrovarti seduto al tavolo insieme a due scozzesi, uno spagnolo, una polacca, due statunitensi e persino una calabrese di Cosenza. E davanti a te sfila una processione interminabile di gustosi piatti tipici, tutto preparato dalle sapienti e amorevoli mani di Mama Naxi. Funghi, patate, pollo, pesce, manzo, e naturalmente riso e tè. I nostri commensali si stanno scambiando opinioni sull’indimenticabile e sfiancante esperienza che hanno appena concluso. Sono stati alla “Gola del salto della tigre”. Lunga 16 chilometri, questa gola è fra le più profonde del mondo e raggiunge la vertiginosa altezza di 3900 metri. Un must assoluto per gli appassionati di trekking e una prova massacrante per i meno allenati. Leggevo addirittura che alcuni turisti ci sono rimasti secchi per via delle frane e delle piene provocate dalle piogge nei mesi più umidi. Se solo avessero ascoltato i consigli della fidata Lonely Planet adesso sarebbero riuniti attorno ad un tavolo a ridere e gozzovigliare allegramente, così come stanno facendo i nostri nuovi amici backpackers. Che, per la verità, non hanno affatto l’aria di consumati scalatori. L’americano Matt, ad esempio, mostra una forma fisica tutt’altro che smagliante, con una panza degna del peggior Micheal Moore e due cosciotti che nemmeno Platinette dei bei tempi. E fin qui siamo nell’ordine dei luoghi comuni. Ma si esauriscono qui: Matt è un tipo sveglio e simpatico. Ha tante cose interessanti da raccontare sulla sua vita attuale ad Hong Kong e su quella passata a Detroit. “Hei guys, allora com’è stato il trekking?” Io e Giovanna ci lanciamo uno sguardo imbarazzato. Noi lo zaino preferiamo lasciarlo in ostello, o al massimo lo svuotiamo e poi lo riempiamo di inutili ninnoli per turisti. Mentre, dopo la maturità, i nostri coetanei salivano su un treno per l’Europa con un enorme sacca sulle spalle, noi salivamo su un aereo per Ibiza o su una nave per Corfù trascinando un trolley. Siamo fatti di un’altra pasta, siamo più caserecci. Oggi ci siamo persi una ventina di volte nel dedalo di vicoli acciottolati di Lijiang, questa incantevole cittadina di montagna a qualche centinaio di chilometri a nord di Kunming. Però non è colpa nostra se i numeri civici non sono consequenziali ma sono messi secondo la data di costruzione dell’edificio, e soprattutto se in ogni strada ci sono i medesimi negozi che vendono i medesimi prodotti ai medesimi prezzi. “Beh sai” rispondiamo titubanti, “oggi ci siamo dedicati all’esplorazione della città vecchia. Volevamo andarci domani, ma purtroppo dobbiamo tornare a Kunming per motivi di lavoro. È proprio un gran peccato.” Patetici. Due come noi dalla “Gola del salto della tigre” possono tornarci solamente su una barella o su un’ambulanza, e comunque non sulle loro gambe. Finito di cenare usciamo fuori a fare una passeggiata. Orde di turisti cinesi affollano le strette stradine, rendendo quasi impossibile procedere senza doversi fermare ogni minuto e spostarsi. Quando, questa mattina presto, siamo usciti dall’ostello, Lijiang era deserta e bellissima. L’incanto è durato poco. Dopo un paio d’ore le vie del centro storico erano già gremite e chiassose. Ma insomma, il dannato Chunjie è finito o no? Che ne dite di appoggiare nuovamente il vostro sedere cinese su una bella sedia e ricominciare a fare quello in cui riuscite meglio, ovvero sgobbare? Mentre camminiamo tra due file di edifici dall’architettura tradizionale illuminati in modo suggestivo da lanternine colorate, mi avvicino alla ragazza polacca con molta nonchalance. “Lo sapevi che queste case per la maggior parte sono state interamente ricostruite dopo il devastante terremoto del ’96?” Lei mi fissa sbalordita, sbattendo le palpebre. I suoi occhi verdi mi ricordano quelli di Martina. Chissà come se la sta passando nel Laos. “Davvero? Non lo sapevo” mi risponde la polacca. “Dove l’hai letto?” Io sorrido pensando alla mia affezionatissima Lonely Planet. “Da qualche parte, non ricordo.” Che tanto prima o poi me la trovo una fidanzata polacca, è senza dubbio la cosa migliore che possa capitarmi. Dovrei chiedere consiglio al mio compagno di classe, il canadese francofono Vincent. Lui ci ha messo poco per trovarsene una. Certo non è bionda e non ha gli occhi verdi, ma è adorabile come tutte le polacche che ho conosciuto finora. Ci buttiamo nel quotatissimo, almeno stando ai poster che si vedono in giro, Bambù Bar, ma ci basta qualche minuto per capire che non è il posto dove vogliamo trascorrere la serata. Qingdao a 35 yuan a bottiglia, una cinesina malinconica che dal palco miagola canzonette melense e una P.R. che non ci molla un attimo. “Da questa parte prego. No, qui no, è prenotato. Anche lì è prenotato. Prego da questa parte, vicinissimi alle casse. Così sentite meglio. Allora, avete già deciso cosa prendere? Va bene, io aspetto qui intanto che non vi decidete.” Let’s get the hell out of here guys. Riprendiamo a camminare senza meta finché improvvisamente ci ritroviamo di nuovo davanti all’entrata del “Mama Naxi’s Guesthouse”. “Qui vendono la birra a 5 yuan” dice qualcuno. E sia. Mama Naxi per favore perdonaci se abbiamo pensato anche solo per un attimo che a Lijiang ci fosse un posto migliore del tuo ostello per noi, backpackers e caserecci. La donnina dagli occhietti luccicanti e i movimenti felini è ancora lì, e Dio solo sa quanto altro ci resterà prima di concedersi un pò di meritato riposo. Deve assicurarsi che i suoi ospiti stiano tutti bene e abbiano mangiato a sazietà, come fa ogni sera da un pò di tempo a questa parte. Al posto degli sfavillanti abiti tradizionali dei naxi, la popolazione di discendenza tibetana che abita queste impervie montagne da quasi 1500 anni, indossa un paio di comodi pantaloni neri e un largo maglione dello stesso colore. “Stanca?” le chiedo mentre mi sfreccia davanti. Lei non mi risponde. Mi sorride con una dolcezza e una gioia di vivere che non dimenticherò mai più. Ci ripenso la mattina dopo, mentre un confortevole pullman ci riporta velocemente a Kunming. Sopra di noi si stende il cielo dello Yunnan, con il suo inconfondibile colore blu. Il vento ha spazzato via le nuvole del sud e il sole brilla come non lo vedevo fare da tempo. È tornata la primavera.

“Ma il cielo è sempre più blu!”
(Rino Gaetano)

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