Tra le risaie e le nuvole del sud (seconda parte)

“Volete andarvene entro oggi? È impossibile. È il Chunjie e non ci sono autobus che partono da qui. Vi conviene aspettare domani.” Giovanna, che l’indomani ha un volo per Shenzhen e che quindi deve essere a Kunming entro la nottata, mi guarda con gli occhi sbarrati. “Ti prego, dimmi che ho capito male.” Ora bisogna mantenere la calma, e visto che prevedo che le ragazze la perderanno molto presto, tocca a me farlo. “Ne sei proprio sicuro?” Il ragazzotto prende in mano il cellulare, sceglie alcuni biglietti da visita dal mazzetto che ha in tasca e comincia a chiamare, o a far finta di chiamare. “Niente”, dice dopo la terza “chiamata”. “Oggi non viaggia nessuno. Ma non vi preoccupate, un modo lo troviamo per farvi partire.” Se lo dici tu, con quel ciuffetto sbarazzino e quel ciondolo di Budda appeso al collo. Ripartiamo alla volta della fermata dei bus, il posto desolato dove abbiamo avuto la fortuna o la sfortuna di incontrarlo la sera prima. “Questo sta dicendo un sacco di stronzate.” Le ragazze sono spazientite. “Non è possibile che non viaggia nessuno.” Vedremo. Mentre facciamo a ritroso la strada che ci ha portato in ostello diverse ore prima, il ragazzotto rimette a tutto volume il cd di “musica americana”. Probabilmente lo piazza ogni volta che si ritrova degli stranieri a bordo per dare un tocco internazionale al suo servizio. Toh, le Spice Girls. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ne ho ascoltato una canzone? Di certo non ero su un pulmino con uno sconosciuto dall’altra parte del mondo. Altri tempi, altri problemi. Quando arriviamo nel piazzale la situazione appare più grave di quanto ci aspettassimo: mostri e mostriciattoli con le ruote addormentati un po’ dappertutto, nemmeno lo straccio di un autista. Anche la biglietteria è chiusa. Bruttissimo segno. Chiediamo alle poche persone che incontriamo ma tutti ci danno la medesima irritante risposta: “Oggi sono tutti in vacanza. È il Chunjie.” Io devo cercare di rassicurare le ragazze e allo stesso tempo pensare ad una soluzione più in fretta che posso. “Tu non puoi portarci a Kunming?” chiedo improvvisamente al ragazzotto. Lui ci riflette un po’ su, o fa finta di rifletterci. “Non posso viaggiare solo con voi tre. Però se troviamo altri quattro passeggeri si può fare.” Come se in giro fosse pieno di gente che vuole andare a Kunming, e poi quanto ci costerebbe? “250 a testa.” Intendi dire 200 a testa vero? Vero. Montiamo nel pulmino e cominciamo a girare intorno, fermandoci davanti ad ogni persona che trascina un trolley o che si porta uno zaino sulle spalle e chiedendo se deve andare a Kunming. Alla fine troviamo qualcuno: una coppia di cinesi sulla trentina. Il ragazzotto chiede loro 250 a testa, come a noi. Iniziano a contrattare. Il cinese non ne vuole spendere più di 200, ma il ragazzotto questa volta oppone più resistenza. Ad un certo punto il cinese fa per andarsene e il ragazzotto deve cedere. Salgono sul pulmino anche loro due. L’uomo dice di essere di Taiwan, così come probabilmente sua moglie. La donna ha il viso coperto da una mascherina bianca con fiorellini rosa e un cappello beige. Ci fissa con i suoi grandi occhi scuri senza dire una parola. Appena sa che siamo italiani, l’uomo di Taiwan sputa fuori qualche parola nella nostra lingua. Poco tempo fa ha seguito un corso di italiano ma, dice con imbarazzo, ha dimenticato quasi tutto adesso. “Credi che ci porterà lo stesso a Kunming anche se non trova altri due passeggeri?” gli domandiamo in inglese per non farci capire dal giovanotto. “Io penso che cercherà in tutti i modi di trovarne altri due.” E se non li trova? “Probabilmente ci porterà lo stesso. In fondo, guadagnerebbe 1000 yuan con noi cinque.” Se ho capito che tipo è, e penso di averlo capito, non si accontenterà, ma tengo per me questo pensiero senza esternarlo. “Facciamo una sosta qui, devo lavare la macchina” dice d’un tratto accostandosi in un piccolo spiazzo con una pompa e dei bagni da usare solo in caso di estrema necessità. E perché? “Perché è sporca.” Questo lo vediamo, ma perché adesso? Il ragazzo non sente ragioni, ci fa scendere e comincia a strofinare con la spugna la carrozzeria impolverata. Iniziamo seriamente ad averne abbastanza. “Però se è vero che ci porta a Kunming per 200 yuan ci conviene aspettare” suggerisce Michela speranzosa. Per quel che mi concerne, non sono sicuro che sarà così facile. L’uomo di Taiwan intanto si è messo a smanettare col suo palmare mentre sua moglie è entrata nel cortile di una casa e sta giocherellando con un simpatico cagnolino. Si è sfilata la mascherina rivelando un volto ovale e delle labbra sottili. Quando si accorge che la sto osservando mi sorride e continua ad accarezzare il cuccioletto. Dopo una mezz’oretta il ragazzo si sta occupando degli interni e dei tappetini. Mi avvicino a lui. “Credo che possa andare” gli dico cercando di mantenere la calma. “Hai visto com’è pulita adesso?” chiede con un sorriso trionfante. Si è tolto la giacchetta mostrando un fisico mingherlino. Rimette i tappetini a posto e ci invita a salire. Ha anche spruzzato una specie di deodorante per ambienti al sapore di pesca. Ripartiamo da dove eravamo rimasti: la ricerca di altri passeggeri. Io gli dò una mano, indicando le persone che potrebbero fare al caso nostro. “Chiedi a loro”, “Guarda quelli, quelli lì a destra”, “Questi, questi.” Forse dovrei veramente considerare di mettermi in società con lui. Adesso però devo capire che intenzioni ha realmente, e per riuscirci non ho altro modo che fargli una domanda diretta. Cercando di non farmi sentire dalle ragazze gli chiedo cosa succede se non riusciamo a trovare altri due passeggeri. Lui fa il vago e io incalzo: ci porta lo stesso o no? “Beh, se proprio non ne troviamo altri due, vediamo un po’.” Ok, la risposta è no. E se ne troviamo solo uno? “In questo caso vi costerà cento yuan in più a testa.” Almeno ora so con chi abbiamo a che fare. Dopo una ricerca infruttuosa siamo di nuovo nella dannatissima stazione degli autobus, affamati e un po’ sconsolati. I taiwanesi si dileguano con la scusa di andare a mangiare. Li vediamo poco dopo parlare con l’autista di un taxi. Stanno cercando una soluzione alternativa, e noi dovremmo fare lo stesso. È quasi l’una e noi non ci fidiamo più del ragazzotto. E se riuscissimo a farci portare a metà strada, a Jianshui per esempio? Da lì dovrebbe essere più facile trovare un modo per arrivare a Kunming. Chiediamo al giovanotto quanto ci costerebbe un passaggio a Jianshui. “E poi una volta lì cosa farete? Non è detto che da quella città partano bus per Kunming.” Questi sono problemi nostri, dicci solamente quanto vuoi e per carità di Dio andiamocene via da qui. Sono 150 a testa. Un furto, ma non abbiamo più nemmeno la forza per contrattare, così accettiamo. A questo punto però succede l’inaspettato. Mentre camminiamo verso il pulmino del giovanotto, una signora ci ferma e ci chiede dove dobbiamo andare. Kunming, rispondiamo in coro. “Per Kunming non c’è niente da fare.” E per Jianshui? “Nessun problema, vi ci porto io per 150 yuan ciascuno.” Gli facciamo notare che è la stessa cifra che ci ha offerto qualcun altro, ma per 100 yuan siamo già a bordo senza discutere. Lei ci riflette un po’ su, o fa finta di rifletterci. Intanto il ragazzotto si è accorto che c’è qualcosa che non va. Torna verso di noi e comincia a discutere con la signora. Noi non riusciamo a capire una sola parola, ma non ci sembra una conversazione di piacere. Per la prima volta il giovanotto pare realmente seccato e irritato. “Vanno bene 90 yuan?” ci chiede infine. La legge del libero mercato è intervenuta in nostro soccorso. Prima che possiamo rispondere, nella trattativa si intromette un altro uomo. I tre parlottano per qualche istante, dopodiché il giovanotto se ne va senza dire una sola parola. Lo vediamo allontanarsi per l’ultima volta con il suo giubbettino e il suo ciondolo di Budda. Anche la signora si defila. “Vi ci porto io a Jianshui per 100 yuan, va bene?” ci chiede l’uomo. Va benissimo. Ci fa salire su un pulmino un po’ più sgangherato di quello del giovanotto. Tra tre ore siamo a Jianshui e poi non ci resta che sperare di trovare un autobus per Kunming. Il nostro nuovo autista è di poche parole, ha una guida isterica e ascolta solo canzoni tradizionali cinesi. Ci arrampichiamo nuovamente su per la montagna, temendo per la nostra incolumità ad ogni tornante. Una volta giunti alla città nuova, l’uomo ci fa scendere e ci conduce verso un pullmann di linea che arriva direttamente a Jianshui senza farci pagare un solo yuan in più. Altra tortuosa strada di montagna, altro viaggio allucinante fino a Jianshui. Arriviamo che sono già le 5 del pomeriggio. Questo è il momento della verità. Ripartire o restare. Vivere o morire. Ci precipitiamo verso la biglietteria col cuore in gola. L’impiegata ci chiede di aspettare e si allontana per un attimo. Dopo qualche istante ci si avvicina un uomo. “L’autobus per Kunming parte alle 6, il biglietto costa 80 yuan.” Resistendo al forte impulso di abbracciarlo, ci dirigiamo di corsa verso il mezzo. Davanti appaiono inequivocabilmente i due caratteri che formano la parola Kunming e l’orario di partenza. C’è da fidarsi questa volta, siamo in una botte di ferro, anzi di metallo e lamiera. Il pulman è vuoto, però manca ancora un’ora quindi non c’è niente di cui preoccuparsi. L’autista sistema la giacca sullo schienale del sedile e si mette comodamente a sedere. Questa volta è fatta. Oppure no: alle sei meno dieci ci siamo ancora soltanto noi sul bus. “Dici che parte lo stesso anche solo con tre passeggeri?” Dovrebbe essere così, non è un autobus di linea questo? Meglio chiedere all’autista. Sparito. Ha lasciato la giacca sul sedile, le chiavi infilate sotto lo sterzo e si è volatilizzato. La faccenda è strana, anche perché la stazione degli autobus adesso è quasi completamente deserta. Persino le addette alla biglietteria hanno chiuso baracca e se la sono filata. In lontananza si cominciano a sentire i primi spari e fuochi d’artificio: mancano poche ore al Capodanno. Alle sette di sera ci siamo solo noi, un pullman aperto e un barbone ubriaco che di tanto in tanto tenta delle inquietanti incursioni sul mezzo. La nostra giornata non è ancora finita. Mi sbatto da una parte all’altra della stazione in cerca di qualcuno che sappia qualcosa dell’autista e della nostra benedetta corsa per Kunming. Una donna di mezza età di guardia al casello cerca di rassicurarmi. “Aspetta ancora mezz’ora, se ha lasciato le chiavi e l’autobus aperto dovrebbe tornare a breve.” Cominciano a saltare fuori le congetture più impensabili e bizzarre sulla sorte dell’autista: potrebbe essere stato vittima di un incidente, o essersi fatto male con un botto di capodanno, o semplicemente se n’è andato a festeggiare con i suoi amici da qualche parte, brindando al nuovo anno con baijiu e birra scadente. Per l’ennesima volta in questo folle week-end ci tocca pensare in fretta ad una soluzione. La cosa più saggia sarebbe farsi una nottata in qualche ostello economico per poi tornare in mattinata e saltare sul primo autobus diretto a Kunming. Da qui non ci si mettono nemmeno tre ore, quindi non ci sarebbero problemi per il volo di Giovanna. Ma lei non si arrende. “Usciamo fuori e troviamo un altro modo per andarcene da questo fottuto posto. Non ce la faccio più.” Vorrei dirglielo che è praticamente impossibile riuscirci a quest’ora e in questo giornata, ma è sempre meglio assecondare una donna determinata e nervosa piuttosto che contraddirla. Stiamo scendendo dal pullman e avviandoci verso l’ignoto, quando un uomo sbuca dall’angolo in lontananza e corre verso di noi. È l’autista. “Si parte, si parte.” Non sappiamo se esultare e abbracciarci oppure mantenere scaramanticamente la calma. Ormai non ci fidiamo più di niente e di nessuno. Ma l’autobus parte davvero. Si ferma solo per far salire una ventina di persone poco più avanti, dopodiché imbocca l’autostrada senza indugio. Per rispondere alla vostra domanda di prima, ragazze: no, l’autista non si muove solo con tre persone a bordo; aspetterà anche qualche ora se necessario, fin quando non avrà trovato il modo di imbarcare quanti più passeggeri possibili. È una delle tante cose che abbiamo imparato in questi due giorni. Mentre il pullman scivola dolcemente sull’asfalto e ci riporta a casa, Michela mi dorme sulla spalla e Giovanna sulla gamba. Quante ne abbiamo passate ragazze. Un giorno, quando ci rincontreremo e ripenseremo a questa storia, ci faremo delle grandi risate. Non è mai bello separarsi, specialmente dopo quello che abbiamo condiviso, però questo è decisamente il modo migliore per farlo: un viaggio avventuroso in cui abbiamo dovuto fare testuggine e sostenerci l’un l’altro. In questi mesi ci siamo incontrati, ci siamo scelti, ci siamo rispettati, ci siamo sopportati, ci siamo criticati, ci siamo accettati, ci siamo voluti tanto bene. Ora che sta per finire tutto, che stiamo per abbandonarci, posso dire con certezza che mi sento una persona diversa, in qualche modo più ricca, e posso dire con altrettanta certezza che per voi è lo stesso. Quando arriviamo a destinazione ci diamo un arrivederci che somiglia tanto ad un addio. Ognuno per la sua strada, perché è così che funziona, che ci piaccia o no. A mezzanotte, quando il cielo si colora e l’aria si riempie di fumo e di eccitazione, io sono sul taxi che mi riporta a casa di Nancy. “E’ un peccato lavorare stanotte, ma qualcosa si deve pur fare per vivere” sospira il tassista. Io mi volto a guardarlo. É giovane, magari a casa ha anche moglie e figlio unico a cui non può dire “Xinnian kuaile”, “Buon anno nuovo”, perché “qualcosa si deve pur fare per vivere”. Per stavolta si accontenterà di dirlo ad un ragazzetto straniero che, non si sa esattamente come né perché, è capitato sul suo taxi proprio la notte del Capodanno cinese.

“Per capirmi è necessaria la curiosità di Ulisse di viaggiare in solitaria, vedendo il mondo per esistere.”
(Samuele Bersani)

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