L’acido lattico è un sottoprodotto dell’attività anaerobica dei muscoli: da questi esso si riversa nel sangue e quindi raggiunge cuore, fegato e muscoli inattivi, dove viene riconvertito in glucosio. Tuttavia durante un esercizio fisico intenso e prolungato, può accadere che i muscoli producano più acido lattico di quanto gli organi di cui sopra ed i restanti muscoli inattivi riescano a metabolizzare. Quando la concentrazione di acido lattico aumenta a tal punto da non poter essere più smaltita dai muscoli attivi, ecco che si presentano effetti di affaticamento muscolare, incapacità allo sforzo, bruciore. E infine i classici crampi. Quello che mi sta immobilizzando la gamba destra in questo momento è a dir poco preoccupante. Mi trovo vicino alla fermata dell’autobus e ho i crampi. Il 70 mi passa davanti e si ferma a pochi passi da me, che però adesso sono come centinaia di chilometri. Le porte si richiudono dopo qualche istante e il verde scatolone di ferro e metallo riprende la sua corsa con glaciale indifferenza. Sono le sei e mezza di sabato sera e ho i crampi. Per capire come sono finito qui, la serie di eventi che mi ha condotto malconcio e claudicante su questa strada non molto lontana da casa di Nancy, bisogna tornare un po’ indietro nel tempo. Precisamente ad una settimana fa, nel locale trendy “The Mask”, dove noi cool expats amiamo trascorrere i nostri week-end all’insegna del divertimento più sfrenato, tra musica assordante, costosi drink annacquati e birre cinesi che non ubriacherebbero un bambino occidentale ma che in compenso ubriacano moltissimi cinesi adulti. Me ne stavo seduto al bancone con la mia Beer-lao tra le mani, e naturalmente mi stavo divertendo in maniera inverosimile, molto più del solito. Intorno a me si affollavano persone di qualsivoglia razza, età e sesso, anche loro in preda ad un’euforia smodata. C’era una tale concentrazione di divertimento nell’aria che era impossibile non esserne contagiati. Inoltre quella sera si celebrava la straordinaria ricorrenza di Halloween, una delle feste più incredibilmente mirabolanti che il genio umano abbia mai saputo partorire, e quindi davanti ai miei occhi ammaliati sfilavano supereroi, bottiglie di birra giganti, sacchi dell’immondizia, armadi a quattro ante, cartoni animati, cartoni da barbone, ruote di bicicletta e altri individui avvolti in bizzarri ed estrosi costumi. Ero così estasiato che dovevo andare immediatamente via da lì per non rischiare un infarto dovuto all’eccessiva eccitazione. E stavo per riuscirci, senonché, posata la Beer-lao mezza vuota sul bancone, mi ritrovai davanti una ragazza italiana che avevo conosciuto qualche tempo prima in un altro rinomato disco-pub-lounge-bar-wisky-and-soda-and-rock’n-roll. Ma sì, quattro chiacchiere con una connazionale non hanno mai fatto male a nessuno: il berlusca, l’università, i cinesi che vomitano per la strada al sabato sera, i tassisti molesti, ancora il berlusca e simili altri argomenti. “E dove stai?”, “Qui vicino. Abito insieme al mio ragazzo cinese. Ah, eccolo qui. Leon, ti presento Giuseppe, anche lui è italiano.” Leon?!? Stranamente finimmo a parlare di pallone. Leon seguiva il campionato italiano da sempre, era fissato per la Roma e in particolare per l’aeroplanino Montella. Leon, il mio primo “amico” cinese. Ben presto venne fuori che anche lui ogni tanto, almeno una volta a settimana, amava praticare il giuoco del calcio insieme ai suoi colleghi di lavoro. “Qualche volta vuoi giocare con noi?” mi chiese nel suo inglese incerto, e poi ripetè la domanda in putonghua. “Mah, sai, non è che sia molto attrezzato… e poi non sono in forma… ok! Quando, dove, come?” Mi avrebbe contattato tra una settimana. Sette giorni e sarei tornato a calcare l’erba del campo, a sentirne l’odore intenso nelle mie narici. A rincorrere un pallone. I sette giorni sono passati lentamente in un’estenuante attesa beckettiana, tra ansie da prestazione, sogni premonitori e calcistici ricordi di infanzia. Infine questo pomeriggio ho incontrato Leon davanti alla scuola dove insegna e poi insieme siamo partiti alla volta del fatidico rettangolo verde. I sabati di questi ragazzi non sono poi così diversi dai nostri: si mangia leggero, schedina al volo con annessi commenti e profezie, redbull e poi tutti in campo. Due squadre, ventidue gladiatori pronti a darsi battaglia. Leon senza indugio mi piazza in attacco, unica punta. Forse dovrei dirglielo che sono davvero fuori forma. Qualche nota sul gioco dei cinesi: 1. non è confusionario, è molto peggio; 2. i portieri non usano quasi mai le mani; 3. può succedere che uno dei giocatori di punto in bianco si tolga la casacca, estragga un fischietto dalla tasca e si metta a fare l’arbitro; 4. il gioco può essere momentaneamente interrotto dall’invasione di campo per nulla pacifica di una masnada di galline invasate; 5. le urla dei calciatori spesso sono coperte da inquietanti grugniti e striduli guaiti provenienti dalle case, se proprio vogliamo chiamarle così, che circondano il campo; 6. viene applicata con molta severità la regola del fuorigioco, anche se non c’è l’ombra di un guardalinee. La nostra squadra dimostra subito di essere superiore. Leon con i piedi ci sa fare: non butta mai via il pallone e gioca per i compagni. Tutte le azioni d’attacco partono da lui, è il nostro Pirlo. Sulla fascia destra c’è il Colonnello, un uomo dai modi rudi e dalla tecnica che eufemisticamente definirei approssimativa. Ma efficiente, con la sua falcata impetuosa e i suoi cross al bacio. Ogni tanto, per richiamare i compagni all’ordine, lancia delle urla belluine che superano per intensità gli inquietanti grugniti e gli striduli guaiti di cui sopra. Sulla sinistra c’è lo Spiritello, un bambino/ragazzo/uomo/vecchio di una magrezza inconcepibile, che salta come un grillo e si accanisce su ogni pallone, anche se spesso viene scaraventato fuori dal terreno di gioco da qualche folata di vento. E poi c’è il nostro jolly, Gianni Morandi, ribattezzato così per la stupefacente somiglianza fisica e spirituale con il nostro amato cantautore emiliano. Gianni Morandi, cinquant’anni e non sentirseli affatto. Gianni è dappertutto: prima salva il pallone sulla linea e un attimo dopo è già dall’altra parte del campo a far gol. A volte arriva sul fondo, mette la palla in mezzo e, prima che questa sia arrivata al centro dell’area, lui è già lì, pronto a colpirla in semi-rovesciata volante alla Jackie Chan. E io? Non me la cavo mica male. Certo, quando la squadra gioca per te e ti passa la palla davanti alla porta è tutto più facile. Alla fine lascio il mio personale timbro sulla partita con due segnature, una da rapinatore d’area e l’altra con una pregevole conclusione dal limite. A metà del primo tempo però sono già fermo sulle gambe. Acido lattico. Ed eccoci qui, le sei e mezza di sabato sera, la fermata dell’autobus, i crampi. Al diavolo, prendo un taxi. Mentre un tassista fortunatamente per nulla molesto mi riporta a casa, penso che ho aggiunto un altro piccolo tassello a questo complicato mosaico che è la Cina, che è incredibile come lo sport avvicini e unisca persone apparentemente lontane anni luce le une dalle altre. Penso che domani avrò un risveglio doloroso, ma che basteranno un paio di partite per rimettersi in sesto e far qualcosa di più utile che due gol piuttosto semplici. Questa volta senza crampi.
Ps: Stacci bene silviuccio !!!
“Uno su mille ce la fa, ma com’è dura la salita”
(Gianni Morandi)
Ma Gianni Morandi! La tua esperienza cinese si tinge sempre più di surreale, bene così. 😀
post magistraleepiconicco
e rispondi ai commenti ogni tanto!!! non fare il zhuangbi –natina