Io sto con i Polacchi

Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallavolo. Comincio da dietro, nelle retrovie, là dove arrivano le cannonate che bisogna ricevere nel migliore dei modi per poter impostare una pericolosa azione d’attacco. Davanti a me, sottorete, Przemek mi fa un cenno di intesa. Potrebbe murare senza nemmeno saltare, ma quando salta mette davvero paura con il suo metro e novanta, i suoi occhi azzurri scintillanti di rabbia agonistica e le sue braccia possenti. E se David, anche lui polacco e anche lui altissimo, gli alza la palla come si deve, allora non ce n’è per nessuno. Un’altra ragazza polacca, Martina, mi sta di fianco. È piccoletta, ma diamine se ci dà dentro. La squadra si completa con un ragazzo tailandese che, come me, preferirebbe correre appresso ad un pallone ma che, sempre come me, non disdegna neppure il volleyball, e una ragazza canadese di origine cinese. È il nostro anello debole, Ally, ma le regole del torneo sono chiare: devono esserci almeno due donzelle per squadra in campo. Vincent per il momento si accomoda in panca. Il ragazzo canadese di madrelingua francese è il più teso tra noi: è lui che ha messo in piedi il team, è lui che si è occupato delle questioni burocratiche, è lui che ha organizzato gli allenamenti dopo la scuola. E nel campo di pallavolo, molto più che tra i banchi, siamo diventati un gruppo, abbiamo imparato a conoscerci e rispettarci, abbiamo trovato il modo di aiutarci e sostenerci a vicenda. Lo so cosa ti sta passando per la testa, Vincent, mentre te ne stai lì seduto con la testa tra le mani. Stai pensando che sarà dura, che i nostri avversari sono tosti. Hanno vinto il primo match in scioltezza, 3 – 0 e tutti a casa, e questo significa solo una cosa: se vincono anche oggi sono matematicamente qualificati alla fase successiva e noi siamo fuori. Fuori alla prima partita. Eccoli lì, schierati di fronte a noi. Quattro ragazze e due ragazzi, per la maggior parte tailandesi. E hanno un tifo sfrenato. Quanto a supporters non va male nemmeno a noi: Akira, il simpatico compagno di classe giapponese, e altri due coreani hanno preparato cori e striscioni, e ai bordi del campo si è radunato un drappello di amici e conoscenti, perlopiù stranieri, che di certo non parteggiano per i tailandesi. Tra i volti più o meno familiari spunta anche quello bellissimo della ragazza norvegese (che in seguito scoprirò essere in realtà svedese). Niente distrazioni Giuseppe, ora si fa sul serio. Si mette subito male per noi. Siamo molli sulle gambe, indecisi in fase difensiva e troppo poco cattivi davanti. Troviamo qualche buona azione offensiva solo di tanto in tanto, e Przemek va a segno un paio di volte al massimo. I tailandesi inanellano una serie interminabile di ace e ci staccano di una decina di punti. Nel finale proviamo a reagire, ma senza troppa fortuna. Un bruttissimo primo set si conclude sul punteggio di 25 – 14 per loro. Così non va. Dobbiamo cambiare qualcosa, soprattutto dobbiamo cambiare atteggiamento. Vincent smette la giacca della tuta, ricambia con un cenno della mano il boato del pubblico e si piazza al posto del tailandese, opaco e poco incisivo. Non è certo un tipo atletico, il canadese francofono, i suoi movimenti sono goffi ed esteticamente poco apprezzabili. Ma la sua altezza compensa queste mancanze, e sottorete sa farsi valere anche lui. Cominciamo il secondo set con il piglio giusto. Przemek finalmente fa vedere di che pasta é fatto: le sue braccia arrivano dappertutto, con le sue lunghe leve si muove da una parte all’altra del campo. Riceve e attacca, attacca e riceve. E in un lampo siamo avanti e conduciamo con sicurezza. Gira tutto bene, persino Ally sbaglia poco e concretizza molto. A me spetta il lavoro sporco: recuperare palle impossibili, spesso e volentieri con l’ausilio di parti del corpo non convenzionali, coprire la piccola Martina e rimediare agli errori degli altri. Insomma, mi tocca fare il ringhio Gattuso della situazione, urla e incitazioni comprese. I tailandesi sbandano, è il loro momento peggiore. Portiamo a casa il secondo set, e ora siamo pari. Nel momento decisivo, tuttavia, accusiamo un inspiegabile e deleterio calo di concentrazione. E lo paghiamo caro: quasi senza accorgercene andiamo subito sotto. Subiamo il gioco degli avversari, che sono ordinati e non buttano via una palla. Noi invece sbagliamo troppo, non riusciamo a costruire gioco e siamo disposti male in campo. Lasciamo delle vere e proprie voragini, e gli avversari puntualmente ne approfittano. Buttiamo via il terzo set, e adesso si mette veramente male. Alla ripresa del gioco lascio il posto all’amico tailandese. I ragazzi entrano in campo con uno spirito diverso, ma la differenza di tasso tecnico e organizzazione di gioco che si era già vista nei primi tre set, emerge in maniera chiara. I tailandesi sono tutto fuorchè imbattibili, ma non commettono errori. E a questi livelli può rivelarsi un fattore determinante. Mi tocca assistere inerme alla disfatta dei miei compagni, tra il chiasso assordante dei tifosi avversari e i continui fischi dell’arbitro, mentre sul tabellino dei punti prende forma un passivo fin troppo severo per noi. Va bene così ragazzi, non abbiamo giocato affatto male. Abbiamo dato quasi tutto quello che potevamo dare. È solo che da una parte c’era una squadra e dall’altra un gruppo di ragazzi che ancora non sono una squadra. Per quello ci vuole tempo, ma almeno non sono degli estranei che ogni giorno si ritrovano insieme nella stessa classe e poi al suono della campanella se ne vanno ognuno per la propria strada e tanti saluti. Questo sarebbe molto peggio che uscire al primo match di uno stupido torneo scolastico. Stasera ce ne andremo da qualche parte a bere vodka scadente e festeggiare. Tanto si trova sempre qualcosa per cui valga la pena festeggiare.
Na zdrowie!

“Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”
(Francesco De Gregori)

2 risposte a “Io sto con i Polacchi

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